di Enrico Tullio Pizzicannella
Si torna a parlare in questi giorni del
tormentone che riguarda la Cooperativa 1944. Centosedici lotti di 1.300 metri
quadrati ciascuno, in zona Pratone, i cui proprietari vorrebbero edificare.
Da vari
decenni questa vicenda si ripropone nell’agenda di ogni amministrazione
comunale, ma fino ad ora non si è ancora riusciti a mettere la parola fine, in
un modo o nell’altro, all’annosa questione. Torna di moda in campagna
elettorale ma, come dice il proverbio, “passata la festa gabbato il santo”.
L’area interessata è inserita
all’interno dei confini del Parco dei Castelli Romani, ed è definita dalla
norme attuative del Piano di Assetto del Parco come “bacino agricolo
intracalderico” che nella sostanza ne impedisce l’edificazione. Ricordiamo che
il Piano di Assetto del Parco è stato oggetto di ricorso da parte del Comune di
Grottaferrata e della stessa Cooperativa 1944, sia al Tribunale Amministrativo
Regionale, sia al Consiglio di Stato e da entrambi i tribunali, respinto. In
particolare il Consiglio di Stato ha riconosciuto all’Ente di tutela, la
legittimità di definire come crede le norme, appunto, di tutela e queste
prevedono l’inedificabilità dell’area.
Questi i fatti, il resto sono
chiacchiere e qualche volta anche chiacchiere fuori luogo, quando non
palesemente aggressive ed intimidatorie, come accaduto nell’assemblea del 15
dicembre scorso.
Se i soci della Cooperativa 1944
intendono insistere per edificare sul terreno di loro proprietà, dovrebbero
convincere l’Amministrazione comunale ad intervenire nei confronti del Parco
per sottrarre quella porzione di territorio dall’area protetta, ovvero
modificare la normativa del Piano di Assetto in quello specifico caso. Ora,
come è facile immaginare, il Piano di Assetto del Parco è il risultato di una
delicata opera di mediazione e concertazione tra quindici amministrazioni
comunali dei Castelli Romani, oltre all’Amministrazione provinciale di Roma e
alla XI Comunità Montana. È realistico pensare che (oggi per esigenze di un
comune domani per quelle di un altro) si possano riaprire continuamente i contenuti
di una pianificazione d’area frutto di un faticoso e delicato equilibrio politico-gestionale
ormai consolidato e giuridicamente riconosciuto? Ci sembra poco probabile.
Per concludere, una questione non secondaria:
i proprietari vantano quello che definiscono un “diritto acquisito” ad
edificare. Non credo che sia questa una definizione corretta. Qualora ci fosse
un “diritto” in qualche modo disconosciuto o eluso da qualcuno - in particolare
da una pubblica amministrazione - sarebbe sufficiente ricorrere all’autorità
giudiziaria amministrativa per richiederne l’applicazione e si risolverebbe
l’eventuale torto ricevuto. Ma così non è. E allora è forse più corretto parlare
di “aspettativa acquisita”, per carità legittima, ma che è altra cosa da
diritto.
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